
Secondo la recente sentenza della Suprema Corte la Cassazione civile, sez. III, 19 gennaio 2018 n. 1251 sussite in capo ai medici o alla struttura sanitaria coinvolta l’obbligo di attivarsi in presenza di valori critici riscontrati in laboratorio, qualora sia in pericolo la vita del paziente.
E' opportuno premettere che, in generale, il comportamento cui è tenuta la struttura ospedaliera, per costante e consolidata giurisprudenza, si sostanzia in uno specifico obbligo di prestazione ed in un correlato dovere di protezione del paziente, pertanto rientra nel dovere accessorio di protezione della salute del paziente una tempestiva ed immediata attivazione in presenza di una evidente situazione di pericolo di vita.
Nel caso trattato in sentenza, gli attori prossimi congiunti della vittima della malpractice, esponevano che il de cuius, già sofferente per varie patologie, era stato sottoposto ad analisi emato-chimiche presso il nosocomio convenuto in causa, analisi che avevano mostrato un allarmante livello del valore del potassio, senza che il risultato dell'accertamento fosse comunicato al medico curante, e nonostante i valori suddetti evidenziassero un imminente pericolo di vita del paziente - che sarebbe difatti morto tre giorni dopo per arresto cardiaco dovuto ad iperpotassiemia.
Sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello rigettavano la richiesta ritenendo che da un punto di vista contrattuale, l’unico obbligo che l’azienda si era assunta nei confronti di coloro che si erano rivolti al laboratorio di analisi era quello di effettuare correttamente le analisi richieste e di comunicarle al paziente o al suo medico curante, non essendo previsto nei proticolli interni nessun'altro adempimento.
Per la Suprema Corte, diversamente da quanto opinato dai giudici territoriali, "su di un piano generale, è impredicabile un indifferenziato obbligo di attivazione in presenza di qualsivoglia situazione di alterazione dei dati clinici che emerga dalle analisi compiute presso una struttura ospedaliera. Ma tale impredicabilità trova un invalicabile limite nell'ipotesi in cui tale alterazione si riveli di tale gravità da mettere in pericolo la vita stessa del paziente - onde una tempestiva segnalazione al sanitario competente o al paziente stesso ne possa, sul piano probabilistico, scongiurare l'esito letale conseguente (e nella specie, purtroppo conseguito) al ritardo di comunicazione, ritardo che, ove consumato, si risolve nella violazione del precetto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2.La CTU esperita in sede di giudizio di merito ha evidenziato come, al di là ed a prescindere da qualsivoglia indicazione normativa regolamentare o semplicemente amministrativa (protocolli interni ovvero “linee guida”), il valore della potassiemia emerso dalle analisi (7.3 mEq/l) indicasse inequivocabilmente un pericolo di vita del paziente, e ne imponesse una immediata comunicazione ai medici curanti".
avv. Luigi Piero Volpe
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