Intervento medico correttamente eseguito ma senza una corretta informazione: risarcimento.

Diritto Sanitario

Responsabilità medica.

Nella vicenda oggetto di una recentissima sentenza della Suprema Corte (Cassazione civile, sez. III, 14/11/2017  n. 26827), parte attrice aveva convenuto in giudizio l'Azienda Ospedaliera, chiedendone anche la condanna al risarcimento del danno da mancanza del consenso informato.

L'Azienda ospedaliera si difendeva affermando che il documento contenuto nella cartella clinica, sottoscritto dalla paziente e non tempestivamente disconosciuto, costituirebbe prova dell'avvenuto rilascio del consenso informato; inoltre, la circostanza che alla paziente furono date informazioni complete ed adeguate sui rischi dell'intervento si desumerebbe dalle dichiarazioni della paziente riportate dalla CTU (secondo cui la stessa era "convinta della necessità di un intervento"). Infine, la paziente avrebbe dovuto allegare e dimostrare che la stessa avrebbe rifiutato l'intervento ove fosse stata compiutamente informata. Tale prova, nel caso di specie non sussisterebbe nemmeno in via presuntiva, considerati i sintomi di cui la S. soffriva prima dell'intervento.

Sui punti la Corte, in completa sintonia con quanto affermato nelle sentenze di merito che avevano rigettato la domanda proposta in via principale perchè l'intervento era stato correttamente eseguito e avevano accolto qualla relativa al risarcimento per mancaza di adeguata informazione e acquisizione del consenso condannando per l'effetto l'Azienda Ospedaliera a versare all'attrice la somma di Euro 35.000, osserva che: l'oggetto del risarcimento del danno per mancanza di valido consenso non è il pregiudizio conseguente all'operazione ma quello conseguente alla violazione del diritto all'autodeterminazione.

In particolare, la Suprema Corte, peraltro ribadendo un ormai consolidato orientamento circa il rigore e la specificità che il consenso deve avere, afferma che "correttamente la Corte di Appello ha ritenuto che il documento prestampato, in quanto privo di data e non contenente il nome della paziente, non fosse sufficiente a provare l'adempimento, da parte dell'azienda ospedaliera, dell'obbligo di acquisire un valido consenso informato e che una simile prova non potesse desumersi nemmeno dalle generiche dichiarazioni della S. circa il proprio convincimento sulla necessità dell'intervento.

Le argomentazioni sopra riportate sono conformi al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la sottoscrizione di un modulo di "consenso informato" del tutto generico da parte del paziente non è idonea a far presumere che il medico a ciò obbligato abbia comunicato oralmente al paziente tutte le informazioni necessarie che egli era contrattualmente obbligato a fornire a tal fine (Cass. 12205/2015; Cass. 2177/2016).

Correttamente, inoltre, la Corte territoriale ha escluso la rilevanza ex se della circostanza che la S. non abbia dimostrato come, in presenza di adeguata informazione, ella avrebbe deciso di non sottoporsi all'intervento - non essendo tale circostanza la sola rilevante ai fini della corretta individuazione dell'evento di danno (l'intervento) e delle conseguenze dannose risarcibili ex art. 1223 c.c..

Infatti, la mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori quando siano configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se considerato, del tutto a prescindere dalla lesione incolpevole della salute del paziente. Tale diritto, distinto da quello alla salute, rappresenta, secondo l'insegnamento della stessa Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008), una doverosa e inalienabile forma di rispetto per la libertà dell'individuo, nonchè uno strumento relazionale volto al perseguimento e alla tutela del suo interesse ad una compiuta informazione.   

Ciò è a dirsi nell'ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le stesse conseguenze dell'intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sè e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua essenza, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive. In secondo luogo, viene in rilievo la considerazione del turbamento e della sofferenza che derivi al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perchè non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accettate".

 

avv. Luigi Piero Volpe

 

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